Sono veterani delle giurie del Grand Prix Pubblicità Italia Francesco Cibò (Coca-Cola), Lorenzo Poltronieri (Direct Line), Alda Rebosio (Mail Boxes Etc.) e Fabio Rimassa (H3G). Outsider Dario Chirichigno (Telecom) e Valentina Cipriani (Tre Marie).
Un’occasione per fare una ricognizione di un anno di creatività, per fare un confronto delle evoluzioni delle campagne. “Ironia e memorabilità, ossia la capacità di colpire l’attenzione in 30”, sono i criteri di giudizio seguiti da Poltronieri. “Un tempo si diceva ‘ti giochi tutto in 3”, ma è la sintesi l’elemento importante – aggiunge Rimassa -. Trovare le affinità tra la creatività del girato con il brand, il prodotto e il suo posizionamento”. “Ho privilegiato l’incisività, la chiarezza e l’intensità, anche emotiva, dei messaggi enfatizzati”, commenta Rebosio. “La capacità di saper rispondere a un insight, a un problema culturale rilevante per il consumatore, la capacità di farlo in maniera unica, impattante e di sorprendere sempre perché comunque c’è sempre un maggiore affollamento e quindi bisogna riuscire a stupire, per emergere dalla massa”, dice Cibò.
“Una campagna che capisci subito, che colpisce, che leghi il prodotto alla marca, che ti puoi ricordare”, appunta Chirichigno. “Contenuti autentici, che creano valore per le persone e rafforzano il valore del brand, un’idea creativa e stile sorprendenti e innovativi nel panorama di riferimento. Veicolazione attraverso un’idea creativa capace di colpire, attrarre, coinvolgere in positivo facendo leva su tasti razionali o emotivi: non premio le comunicazioni che fanno leva sulla negatività del messaggio per attrarre e far parlare di sé”, spiega Cipriani. Da un anno all’altro il GP è un punto fermo anche per studiare le tendenze del mercato in atto. In particolare anche per valutare se ci sono segnali che ci dicono che la tempesta – la crisi – è passata o sta passando. “Ho riscontrato nei lavori di quest’anno il recupero di investimenti del mondo dell’auto, mentre sono meno presenti i servizi intesi come banche e assicurazioni”, sostiene Poltronieri. “Ho intravisto spunti interessanti, soprattutto nel caso di campagne che cercano di declinare la strategia e la creatività su altri media e questo è un passo in avanti rispetto ad altri anni”, commenta Rimassa. “C’è stata difficoltà a bilanciare i nostri voti in base al media sul quale è stata declinata la campagna – aggiunge Chirichigno -.
Il mondo del web sta assumendo una valenza sempre maggiore e sempre di più noi dovremo dare spazio alla votazione di campagne concepite per questo mezzo”. “A livello di tendenze non ho visto cose molto diverse rispetto agli anni precedenti – spiega Cibò -. Tutti parlano di integrazione, però bisogna scegliere i mezzi che riescono a rispondere meglio al problema di percezione; per riuscire a farlo, la risposta non è sempre legata a un’esecuzione particolare, quindi a una campagna tv, ma una soluzione può essere conseguente a un’attività esperienziale o a una di sampling”. “Ci sono dei valori e dei criteri che rimangono forti e incisivi al di là degli anni, delle mode, delle voglie creative di osare o di provocare. Non ho visto evoluzioni in termini stilistici, ma sono forse io più attenta alle scelte dei valori che si vogliono evidenziare per valorizzare la personalità della marca: la potenza della sintesi, l’efficacia, la forza di esprimere concetti importanti in poche parole e in poche immagini”. “Non c’è una regola fissa nel giudicare una campagna e dipende anche dal momento storico. Per esempio in questa fase di crisi ci colpisce forse meno la bellezza femminile, quando diventa un cliché troppo sfruttato; al contrario può essere più convincente una pubblicità che ci fa fare un sorriso o una riflessione”, sostiene Chirichigno, che facendo un accenno alla ‘memorabile’ adv di Telecom Gandhi, conclude: “E’ importante vedere che nonostante il passare del tempo una campagna sarebbe ancora attuale e coerente con la mission dell’azienda. E se è il pubblico a riconoscerlo con il suo ricordo, significa che il budget è stato investito in modo efficace”. Tutto merito del testimonial? Sembrerebbe di no. “Nella comunicazione dei brand, oggi, vedo superato il ruolo del testimonial fine a se stesso.
Il nuovo testimonial ha un ruolo di ambasciatore e partner, un personaggio credibile che condivide i punti chiave della comunicazione, i valori del brand e lavora con il brand in modo sinergico per veicolarne il messaggio in modo efficace e credibile”, spiega Cipriani. “Il testimonial è un acceleratore di notorietà, memorabilità e impatto e ha senso quando non è fine a se stesso, ma se incarna efficacemente i valori della marca e, soprattutto, se è funzionale a un’idea creativa. Se un brand è piccolo e il testimonial non è realmente integrato con la storia e con l’idea creativa, il rischio è che cannibalizzi la marca”, conclude Cibò.
(da: http://www.pubblicitaitalia.it)