Oltreil gigante di Zuckerberg, tante realtà si contendono centinaia di milioni di utenti. Un moderno Risiko della socialità che si combatte soprattutto in due aree del mondo: Asia e Sud America di IVAN FULCO
PER LA maggior parte degli utenti occidentali sono nomi sconosciuti, in alcuni casi persino impronunciabili. Si chiamano V Kontakte 1, Draugiem o Orkut. Oppure OdnoKlassniki 2, Qzone 3o Cloob. Sono reti sociali, come decine di altre sul web, ma con una differenza. Oltre i confini dell’Occidente facebookiano, quell’enorme impero che parte dagli Stati Uniti, attraversa l’Europa e approda in Australia, si contendono centinaia di milioni di utenti, spesso superando il patriarca Facebook in termini di traffico Internet. È una guerra che nessuno racconta, nell’Italia colonizzata da Mark Zuckerberg, ma che assomiglia a un moderno Risiko della socialità. E che oggi si combatte soprattutto in due aree del mondo: Asia e Sud America.
La rete dei cloni. Allo stato attuale, lo scenario più inusuale è quello dell’ex-Unione Sovietica, dove Facebook sembra non riuscire a penetrare come in qualsiasi altra parte del globo. Qui è V Kontakte a dominare, un social network fondato nel 2006 dal giovane Pavel Durov, uno studente di San Pietroburgo con un’idea vincente: se ha già funzionato altrove, provalo anche qui. Non è un caso che V Kontakte venga spesso definito un “social-clone”. Da Facebook riprende l’interfaccia, da MySpace la possibilità di condividere file audio, da YouTube quella di condividere file video. Non mancano strumenti per le offerte di lavoro o per le domande e risposte tra utenti,
giusto per non farsi mancare nulla. Un melting pot che, originalità a parte, funziona alla grande: sono oltre 100 milioni gli iscritti attuali, in poco più di quattro anni di attività.
Nella stessa area, si sono affermate nel frattempo numerose altre reti sociali declinate in cirillico. È il caso della russa OdnoKlassniki, un sito per ritrovare vecchi compagni di scuola, come accadeva con la Facebook degli esordi, che si attesta oggi sui 50 milioni di utenti. Oppure di MoiKrug 4, un servizio per il mercato del lavoro che si ispira all’occidentale LinkedIn. Tutto a svantaggio del colosso di Zuckerberg, che lo scorso dicembre, secondo i dati di Google, è scivolata fuori dal podio dei network più visitati dagli utenti nord-asiatici.
Oltre la Muraglia. Nell’area dell’Asia Centrale, il Risiko dei social network è ancora più complesso, ma anche culturalmente affascinante. In Cina, domina ancora oggi Qzone, una rete sociale che ricalca le funzionalità di Facebook, ma con un modello economico “freemium”: iscrizione e applicazioni base gratuite, ma servizi aggiuntivi offerti a pagamento. Un fenomeno da quasi 400 milioni di utenti, ma oscurato dalla scarsa trasparenza dei dati ufficiali. Associato al servizio di messaggistica QQ Messenger, che sfiora i 600 milioni di iscritti, Qzone conterebbe infatti su un’estesa popolazione di profili-zombie, ricavati proprio da quelli di QQ Messenger.
Ancora più singolare la situazione della Mongolia, colonizzata fino allo scorso anno da un social network smaccatamente statunitense, Hi5 5. Solo dopo il cambio di rotta di quest’ultimo, che da rete sociale pura si appresta oggi a reinventarsi in piattaforma di gioco online, Facebook ha riconquistato il primato nel paese.
In Giappone, al contrario, si contendono la leadership due realtà sconosciute in Occidente: Mixi 6e Gree 7, rispettivamente orientate al web e al mobile. In entrambi i casi, la parola d’ordine è “intrattenimento”. Gli utenti si incontrano in base agli interessi comuni, per creare micro-comunità all’interno delle quali condividere le proprie opinioni, scambiarsi contenuti o, più semplicemente, giocare insieme. Una declinazione forse inevitabile, per la terra che ha reso popolari i videogiochi.
L’ultima resistenza. Sul fronte occidentale, dominato dallo strapotere di Facebook, solo il Sud America resiste ancora alla colonizzazione. L’ultimo baluardo qui si chiama Orkut 8, il social network di Google con una storia inusuale alle spalle. Lanciato nel 2004, il servizio si impose inizialmente negli Stati Uniti e, in parte, in Giappone. Il successivo declino in termini di utenti nordamericani, migrati verso le nuove reti in ascesa, fu tuttavia segnato dalla sua esplosione in paesi come il Brasile e l’India, dove ancora oggi conserva importanti quote di mercato. Un destino imprevedibile, per un sito da oltre 100 milioni di utenti, ma che può contare anche su due punti di forza: un’interfaccia in stile Google, ovvero relativamente minimale, e l’integrazione con gli altri servizi di Mountain View.
E nel resto del mondo? Secondo i dati di Google e Alexa, Facebook sarebbe oggi leader di mercato in circa 115 nazioni su 132. Un primato interrotto a macchia di leopardo solo in alcuni paesi, dove resistono piccoli social network locali. È il caso dell’olandese Hyves 9o dell’iraniana Cloob 10, per citare due esempi agli antipodi. O ancora, della lituana Draugiem 11o dell’araba Maktoob 12. Per la maggior parte di questi apostoli, il principio è quello di Facebook, ormai omnicomprensiva nei suoi servizi, ma popolazione e lingua di riferimento sono quelli di una precisa area geografica. È la rete sociale glocal che resiste: quella dove si incontrano “tutti gli altri”. Per scoprire che Facebook, in realtà, non è il centro di Internet.
(FONTE: http://www.repubblica.it)
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